Jorio Vivarelli nasce il 12 giugno 1922 a Fognano di Montale (Pistoia).
Sin da ragazzo si avvicina alla scultura grazie al lavoro del padre come scalpellista e instaura un forte fusione con la pietra. Ha inoltre la possibilità di compiere i suoi studi presso la Scuola Artigiana di Pistoia e l’Istituto d’Arte di Porta Romana a Firenze.
A dicembre del 1942 è chiamato alle armi e inviato sul Fronte Balcanico, ma dopo l’8 settembre 1943 è fatto prigioniero dalle truppe tedesche. Viene deportato finendo sia in campi di concentramento sia in campi di lavoro in Bulgaria, Ungheria, Austria e successivamente in Germania. Jorio attraversa un periodo durissimo di prigionia e privazioni, al quale riesce a sopravvivere anche grazie alle sue abilità da scultore. In particolare, ha modo di farsi notare quando nelle fonderie dell’industria militare dove era stato assegnato come prigioniero, forgia un ritratto del direttore della fabbrica, nonché comandante del campo di lavoro, che firmerà addirittura con il suo nome e cognome invece del suo numero da prigioniero. In questa occasione Jorio si espone ad un grosso rischio ma ottiene così un minimo riconoscimento della propria dignità di uomo, infatti il comandante, dopo aver ricevuto l’omaggio, saluta Vivarelli mettendosi sugli attenti come se fosse un suo pari grado.
Dopo la fine della guerra, nonostante una gamba ferita, riesce a fuggire dalla Germania. Si consegna agli alleati e dopo un difficile periodo con i francesi viene consegnato ai soldati americani, per i quali lavorò nei pressi di Verdun e infine rientra a Pistoia il 31 ottobre del 1946. Nonostante le tragiche sofferenze vissute negli anni della guerra, dopo il rientro a casa Jorio torna a scolpire con rinnovato entusiasmo e determinazione.
Nel 1947 espone le sue prime otto sculture insieme agli artisti pistoiesi Remo Gordigiani, Aldo Frosini e Marcello Lucarelli. Le opere di Vivarelli mostrano una spiccata capacità di ritrarre soggetti della quotidianità esaltando i loro tratti fisionomici, riecheggiando la tradizione realista. In questo periodo Jorio, ha creato «un intenso repertorio di ritratti solidamente tirati fuori dalla pietra, con l’occhio rivolto a Nicola e a Giovanni Pisano, oltre che a Donatello: un campionario di volti, di donne toscane, di contadini, di ricordi etruschi, risolti sempre con amabile crudezza espressiva, con una primordialità capace di eliminare ogni enfasi descrittiva» (Dino Carlesi, 1989).
Il 14 maggio 1949 Jorio si sposa con Giannetta Pini e insieme si stabiliscono a Firenze. Giannetta gli sarà vicino per tutta la vita e lo sosterrà con costanza e dedizione anche nel lavoro di artista.
Firenze è per Jorio «una patria adottiva», come la definisce lui stesso. Qui vivrà per 20 anni maturando grande interesse per la scultura fiorentina della seconda metà del Cinquecento.
Durante il periodo fiorentino, nel 1951 fa il suo ingresso alla prestigiosa Fonderia d’arte di Renzo Michelucci di Pistoia, luogo che diventerà fondamentale per la sua crescita culturale e artistica. Jorio, assunto come scultore di fonderia, aveva il ruolo di formare i modelli delle sculture ingrandendo bozzetti anche di piccole dimensioni. Presso la Fonderia gravitano grandi artisti italiani e stranieri dell’epoca e lì Jorio affinerà le sue abilità tecniche fondendo statue anche di grandi dimensioni destinate a tutto il mondo. In questo contesto nasce un’intensa collaborazione, nonché un rapporto di vera amicizia, con Giovanni Michelucci, uno tra i più importanti architetti dell’epoca e fratello di Renzo Michelucci. L’affermato architetto Michelucci noterà ben presto le capacità tecniche ed espressive del giovane Vivarelli mentre opera alla presso la fonderia e lo sceglierà come scultore per la realizzazione dei Crocifissi per le chiese da lui progettate e costruite: nel 1956 per la Chiesa della Vergine di Pistoia e poi nel 1963 per la Chiesa di San Giovanni Battista a Campi Bisenzio (Firenze), detta dell’Autostrada del Sole.
Nel 1956 Jorio conosce a Pistoia il grande architetto razionalista russo-americano Oskar Stonorov, che lancia Vivarelli in campo internazionale e gli commissiona grandi opere per gli ambienti urbani delle città americane. In questo periodo realizza monumentali fontane in alcune importanti città americane, come “Ragazze Toscane” (1966) e “Adamo ed Eva” (1966) a Philadelphia, “Le bagnanti” per lo Stevens College di Columbia, Missouri (1967) e il gruppo scultoreo “Giovani” (1966) a Detroit. Il linguaggio di questo periodo assume «una formatività più fluida, elastica, vicina, per certi aspetti, alla scultura lievemente manierista di Emilio Greco (“Acrobati”, ‘61; “Figura nello spazio”, ‘64), con molte uscite verso un’astrazione surrealisteggiante (“Le cariatidi”, ‘64)» (Lara-Vinca Masini 2010). In questo periodo Jorio svilupperà una serie di piccole sculture in bronzo di figure femminili e acrobati.
Nel 1966 partecipa alla formazione del Gruppo Intrarealista, assieme ad artisti come Federico Fellini, Abel Vallmitjana e Miguel Ángel Asturias, premio Nobel per la letteratura nel 1967. Il nuovo movimento artistico internazionale si prefigge di rappresentare la realtà al di là della propria apparenza, oltre la falsa verità proposta dai mezzi di comunicazione. Jorio dà testimonianza concreta di questi anni di contestazione globale esponendo le sue ultime e più impegnative opere “Salvate la vittima” (1967) e “I dirigenti” (1967) nella prima mostra Intrarealista del 1967 a Palazzo Strozzi di Firenze.
Negli anni Settanta Vivarelli è ormai un artista di statura internazionale, seguito dalla critica d’arte con crescente interesse. Nel 1970 torna a vivere a Pistoia nella sua casa-studio realizzata dall’amico Stonorov, la ormai celebre Villa Stonorov. In questi anni inizia ad eseguire per il “Premio Pistoia Teatro” i busti di bronzo dei più celebri attori protagonisti della scena italiana del secondo Novecento. Nello stesso periodo, su commissione della Repubblica di San Marino intraprende la produzione di monete e medaglie.
Nel 1974 Jorio raggiunge l’apice della notorietà grazie ad un’opera molto significativa: “L’idea, la morte”, monumento dedicato a Giacomo Matteotti. Posta proprio sul Lungotevere Arnaldo da Brescia, nel luogo dove Matteotti fu rapito, l’opera rappresenta sia la violenza di cui è capace l’uomo che sia la possibilità di rinascita dalle sofferenze e dall’oppressione.
Negli anni successivi, Vivarelli prosegue la realizzazione di importanti opere urbane: “Inno alla vita” (1987) per il Parco della Pace di Nagasaki, nel luogo dell’esplosione della bomba atomica del 1945, e poi in provincia di Pistoia “Il sacrificio – Una morte per la vita” (1979) a Fognano di Montale e a Ponte Buggianese il dittico in bronzo “Parabola Storica, ultima sfida” (1993).
Nel 1993 Jorio allestisce la sua mostra in Germania al Castello di Cappenberg.
Giunto all’età di 73 anni e con alle spalle ben più di 60 anni di attività artistica, nel 1995 Jorio avvia con le Istituzioni locali le prime consultazioni sulla possibilità di creare una Fondazione a lui dedicata alla quale conferire le proprie opere e Villa Stonorov. La Fondazione Jorio Vivarelli nascerà nel 2000 ed ospita presso Villa Stonorov una ricchissima collezione di opere dell’artista. L’obiettivo della Fondazione è la conservazione, lo studio e valorizzazione delle opere e della figura di artista di Vivarelli assieme alla promozione dell’arte, della cultura e dei giovani artisti a Pistoia.
Jorio Vivarelli muore nella sua abitazione di Villa Stonorov a Pistoia il 1 settembre 2008, all’età di 86 anni.
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