GINO TERRENI, LA XILOGRAFIA E IL RACCONTO DI UNA VITA
Gabriella Gentilini
Nel lontano 1989 l’incontro con Gino Terreni consentì la stesura di un significativo capitolo della tesi di laurea di chi scrive, nonché il privilegio della sua presenza in qualità di correlatore, ma soprattutto segnò l’inizio di un rapporto di amicizia, di stima e di collaborazione che dieci anni più tardi (era il 1999) culminò nella grande mostra tenutasi proprio presso questa gloriosa Accademia delle Arti del Disegno, della quale oggi anche la sottoscritta ha l’onore di far parte.
Gino Terreni fu nominato Accademico delle Arti del Disegno nel 1970 per l’incisione, poi confluita nella Classe di Pittura. Infatti, egli è artista di stampo rinascimentale, dedito cioè a tutti i settori dell’arte, dalla pittura compreso l’affresco alla scultura, dall’incisione al mosaico, alla vetrata. Ma è stata l’incisione su legno, come dichiara lui stesso, il suo primo grande amore. Ancora bambino, iniziò ad incidere con un coltellino su tavolette di legno che si procurava dai falegnami di Tartagliana, la frazione di Empoli (Fi) che gli ha dato i natali e alla cui terra è rimasto profondamente legato.
L’ambiente agricolo in cui ha vissuto ha rappresentato la più spontanea fonte di ispirazione, con la sua gente umile e fiera, piegata dalla fatica, presa a modello per le sue opere. Alla natura, madre e maestra, da cui tutto ha origine e che tutto fornisce, Terreni ha affiancato la formazione tecnica ricevuta all’Istituto d’Arte di Porta Romana a Firenze, sotto la guida di un maestro e sincero amico quale è stato Pietro Parigi, straordinario esempio di umanità, semplicità e grandezza.
Ma un altro elemento, questa volta tragico, ha influito in maniera determinante nella sua arte, lasciando una traccia profonda anche nella sua vita: la guerra, combattuta prima da partigiano, poi sulla Linea Gotica. La morte più volte sfiorata, la paura e gli orrori inimmaginabili, sono documentati dai drammatici disegni a carboncino (una cartella si trova al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi). Successivamente, quelle scene rivivono nelle incisioni e nella pittura e tuttora affiorano dal marmo, dalla pietra serena, dal bronzo. “La guerra è una cosa che stravolge, te la porti dietro per sempre”, infatti Gino Terreni porta ancora con sé questa impronta indelebile, questo pesantissimo bagaglio che si alleggerisce soltanto nella consolazione della fede, nell’anelito alla pace, unica meta salvifica per l’umano cammino.
Per mezzo della xilografia, come già aveva fatto Lorenzo Viani, Terreni ha dato voce agli ultimi, agli indifesi, ai sofferenti, agli emarginati, ma ha reso omaggio anche ai coraggiosi, che hanno lottato e dato la vita per un futuro migliore. La sua mano ha attraversato chilometri di legno di filo e di testa. Sicura e appassionata, veloce nel “salvare l’emozione”, ha scavato con sensibilità e rispetto nell’animo umano, nella sua quotidianità, nelle sue disgrazie e nelle sue pene, mai cedendo ad enfasi, ma con la partecipazione concreta ad un dolore lacerante eppure composto, vissuto con suprema accettazione.
La forza costruttiva delle immagini, la severa essenzialità del bianco e del nero, accomunano persone, sentimenti, destini. Dal volto rugoso di Argia, la contadina che lo salvò dalla fucilazione, alla muta disperazione del Pianto delle madri del 1963 o di Presentimento del 1973, alla dignità dei meno fortunati in Vediamoli in faccia del 1974 o degli Sfollati del 1966. Dialogo serrato e dolente di sguardi, eloquente intreccio di gesti, di mani che si protendono per dare conforto o per chiedere aiuto ed attenzione, ma anche per lanciare un grido di libertà, per difendersi dalla sopraffazione e dalla violenza di altre mani, quelle di feroci carnefici, come nell’estremo sacrificio di Padre Massimiliano Kolbe, a cui l’artista ha dedicato quindici incisioni in legno su invito del Vaticano nel 1981, in occasione del quarantesimo anniversario del martirio e nel decimo della beatificazione. Nel suo volto emaciato ha saputo cogliere il raggio di luce proiettato sugli altri prigionieri, nell’abisso dell’inferno. Altro altissimo esempio di dedizione agli altri è la figura di San Francesco, protagonista di un intenso omaggio con due serie di vigorose xilografie, vibranti di una spiritualità avvolta dal mistero del creato, fino alle incisioni del 1998 ispirate alla guerra in Bosnia, generosa terra illuminata dal sole della pace dopo tante atrocità.
Solo per ricordare qualche passaggio che segna un percorso di vita inciso nel legno, con l’abilità e la perizia di un maestro, ma anche con la condivisione emotiva di un uomo che ha vissuto in prima persona il dramma e le tribolazioni e che fa proprie tutte le tematiche di disagio esistenziale e sociale.
Nella vastissima produzione dell’autore non mancano tuttavia esperienze più lievi con cui ha arricchito il settore dell’illustrazione del libro e dell’ex libris.
Per la primitiva carica espressiva, la stampa xilografica si adatta perfettamente a tradurre l’efficacia e la solidità della figurazione mediante tratti immediati, essenziali, precisi, frutto di una destrezza conquistata con tanto paziente esercizio di manualità e tanto amore per il mestiere. Cuore e mano che lavorano all’unisono. Il rammarico di Gino Terreni è di essere rimasto tra i pochissimi artisti fedeli alla xilografia per via del lungo tirocinio necessario per padroneggiarla, che spesso fa preferire strade più brevi e magari più gratificanti. Ma lui ha sempre raccomandato ai suoi allievi lo studio della tecnica, insegnando per una vita nelle scuole e “sul campo” per l’affresco e la scultura. E la sua opera incisa non è meno importante dei suoi lavori murali o plastici - che annoverano affreschi in numerose chiese italiane e monumenti pubblici - ai quali si affianca con pari imponenza e compiutezza, nell’unitarietà ed unicità della cifra stilistica che il maestro ha sempre mantenuto ed amplificando un’espressività potente pur nell’assenza del colore, molto difficile da ottenere nella bidimensionalità della matrice lignea. Netto e deciso, robusto o sottile a seconda dello strumento usato, graffiato o incrociato, rapido ma minuzioso, il taglio del bulino segue le venature del legno e si alterna all’affondo energico e calibrato della sgorbia, creando effetti ora contrastati, ora leggermente chiaroscurati, a rendere perfetto l’equilibrio formale e ad imprimere dinamismo alle composizioni.
La xilografia, nata ancor prima della stampa per la diffusione di immagini, soprattutto a carattere sacro e divulgativo tra il popolo che non sapeva leggere (una sorta di mass media dell’antichità), alla semplicità dei mezzi contrappone la conoscenza tecnica e l’assoluta maestria di esecuzione perché non permette errori o modifiche. I pieni e i vuoti, il bianco e il nero, la luce e l’ombra. Umiltà e grandezza, due estremi che si incontrano per interpretare le angosce e i tormenti che hanno segnato la prima metà del ‘900, senza peraltro aderire ai toni esasperati dell’espressionismo nordico, esaltati dall’opera di celeberrimi maestri, eredi della lezione di Duerer. L’espressionismo toscano – forse è più corretto definirlo realismo – è vissuto nella solitudine, nel silenzio, nell’inquieta desolazione che racchiude un mondo di miserie, illustrato con rabbia da Viani o da Rosai, ma che Gino Terreni ha rivestito di una forza d’animo sostenuta da un’intima religiosità, nell’esaltazione dei valori più alti della persona, nella consapevolezza dell’intelletto e dell’azione.
Nel corso del suo instancabile operare, durante il quale ha raccolto riconoscimenti da ogni parte, Terreni ha documentato un capitolo di storia recente. Nell’incidere il legno ha tenuto aperto e sempre aggiornato il suo diario, che ci consegna pagine preziose di inaudita sofferenza ma anche di amore, di gioia, di speranza. “Per non dimenticare” è il suo motto, che diviene un messaggio e un monito per tutti, un insegnamento per le giovani generazioni e per quelle che verranno, da ascoltare e da tenere sempre a mente perché chi ce lo tramanda con infinito sentimento è un maestro impareggiabile e un testimone diretto di quegli eventi, un tempo Combattente per la Libertà, ufficializzato dall’onorificenza conferitagli nel 1984 dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini, oggi paladino della pace, definizione riconosciutagli dal mondo intero, che ne ha ancora tanto bisogno.
GABRIELLA GENTILINI
Firenze, gennaio 2012
Presentazione dal catalogo della mostra presso L'Accademia dele Arti del Disegno,Firenze, Edizioni Polistampa, maggio 2012
Ha tenuto numerose personali a Livorno, Firenze (all’Accademia delle Arti del Disegno nel 1961, nel 1999 a cura di Gabriella Gentilini e nel maggio 2012; al Chiostro di San Marco nel 1981, e la mostra antologica di xilografie presso la casa di Dante) Empoli, Colle di Val d’Elsa, New York, Venezia, Houston, Padova, Melbourne, Grosseto, Assisi, Roma, Parigi, Norimberga, e partecipato a numerosissime collettive in Italia ed all’estero (all’Accademia di Belle Arti di Città del Messico, New York, Mosca, nel 1976 a Lubiana e Tokio, Barcellona, Madrid, Cracovia). Dal 18 al 25 maggio 2005 ha presentato la personale “Per non dimenticare”, alla Galleria di Palazzo Panciatichi, una raccolta di sculture, xilografie e disegni preparatori di monumenti toscani sulla resistenza e liberazione.