Ghigo Tommasi, all'anagrafe Enrico Tommasi (Firenze, 24 maggio 1906 – Livorno, 5 settembre 1997), è stato un pittore e collezionista italiano.
Figlio di Maria Borghini e di Eugenio Tommasi, dirigente delle ferrovie di stato, cugino di Adolfo Adolfo Tommasi Tommasi e nipote di Angiolo Tommasi Angiolo Tommasi e Ludovico Tommasi, cresce a contatto con un ambiente artistico molto vivace. Giovanissimo mostra già grande interesse per la pittura e segue i primi severi insegnamenti dello zio Ludovico Tommasi, che vigila sul nipote con burbera tenerezza e lo prepara a sottomettersi alle leggi della composizione, ai processi del colore, suggerendogli gli angoli preferiti per certi suoi principi di estetica come lo scorcio di un casolare o le ombre di un tramonto che preparano alla nostalgia. Nel 1925 col pensionamento del padre, la famiglia si trasferisce a Livorno sia per curare alcuni beni sia per l’ambiente culturale molto attivo nella città. A Livorno Ghigo Tommasi frequenta lo studio del cugino paterno Adolfo Tommasi, di carattere piuttosto scontroso, ma molto attento nei confronti dell’allievo. Da lui apprende l’abilità nel disegno, mentre dal rapporto col Gennari acquista quelle caratteristiche fondamentali nella sua arte quale l’importanza indispensabile di una dimensione umoristica e la spontanea semplicità di gustose scene d’ambiente, che si sposano perfettamente col suo spirito arguto e scherzoso. Collegiale di talento nel 1931 entra, a Firenze, alla Scuola Libera di Felice CarenaFelice Carena, dove completa la sua maturazione artistica, frequentando con successo i corsi, tanto da meritarsi l’elogio dello stesso Carena per «la disinvolta linea di verismo e la rapida unità di sintesi». Nel 1932 inaugura il suo studio di via Della Torre a Livorno e riceve in dono la tavolozza con le dediche di Renato Natali Renato Natali, Eugenio Carraresi, Giulio Guiggi, Giuseppe Guzzi e Giovanni Zannacchini Giovanni Zannacchini. Dal 1925 al 1941 partecipa a tutte le mostre provinciali, regionali, interregionali e quadriennali romane ottenendo premi e riconoscimenti, così come nelle esposizioni a Vienna, Monaco, Budapest e Berlino. Durante la seconda guerra mondiale viene inviato in Albania dallo Stato Maggiore dell’Esercito come pittore di guerra. Resta colpito da questa terra piena di luce e di colori e ritrae con visioni caratterizzate da vitalità e da sensibile verità: i mercati, gli interni lussuosi della tenda del capo dei gitani, le foci del Drin. Sfortunatamente parte di questa produzione viene perduta nel bombardamento della nave che la trasportava in Italia. Per due anni è prigioniero dei tedeschi nel campo di concentramento di Ziegenhain e documenta con un’ampia serie di acquarelli, tuttora inediti, la vita quotidiana del campo: la riunione serale nelle baracche, la messa celebrata dai detenuti, il cancelletto circondato dal filo spinato da dove portavano via i corpi. Della guerra restano alcuni drammatici disegni in sanguigna, che riportano la vita apparentemente calma delle trincee nei momenti di tregua. Dal 1945 riprende l’attività artistica e partecipa a mostre personali e collettive nelle più importanti città italiane e estere. Apprezzato da Renato Natali – “la pittura di Ghigo Tommasi, prima di tutto è interpretazione intelligente della natura attraverso una serenità costante che nel colore, nella semplificazione dei piani, nell’illuminazione che nasce dall’interno, raggiunge quella semplicità espressiva che solo un sentimento cosciente e una sicurezza stilistica possono tradurre in risultati costanti” – entra a far parte del Gruppo Labronico Gruppo Labronico e successivamente sarà eletto vicepresidente. Pittore lirico sceglie di far commentare le sue opere dallo scrittore Piero Caprile che sottolinea l’aspetto poetico e mistico con cui dipinge la natura. Nei suoi quadri la Maremma appare silenziosa e monumentale, squarciata dalla voce del mare, dagli uragani, dal battere vetusto del tempo sui sentieri aspri di Santa Fiora, Roccalbegna, Paganico, Castiglion della Pescaia, abitata da cacciatori che, con i loro segugi, passano la siesta alla bettola, dalle pareti affumicate, da butteri dai cappellacci a cupola che rientrano con le mandrie che annusano il vento, da ranocchiai, ma anche da cavalli bradi o da pioppi curvati dal vento. I colori sono i grigi del cielo nuvoloso che si riflette negli acquitrini opalini e quelli perlacei dell’aria brumosa che ispira malinconia. La Maremma è quella leggendaria, romantica e selvaggia, eroica e narrativa. Negli anni settanta acquista una casa a Santa Fiora Santa Fiora, dove va ogni primavera e ogni autunno per dipingere, andare a caccia e rincontrare i vecchi amici.
Fonte: wikipedia enciclopedia libera
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