"...Di tutt’altro tenore sono le emozioni provocate dalla pittura forte e incisiva di Natale Filannino (1924-1987), in cui la realtà viene approfondita da una lettura intensa, talvolta impietosa, dai toni espressionisti che sottolineano la precarietà e il disfacimento della forma nella suggestione del colore. Ricerca che ha poi condotto l’artista di origine calabrese, ad avvicinarsi all’Astrattismo Classico..."
GABRIELLA GENTILINI
dal catalogo della mostra "Emozioni", Firenzeart Gallery, Firenze, 11 ottobre - 5 novembre 2005.
... Così fu per Natale Filannino, scomparso nel 1987, dal quale proprio per tale ragione mi piace cominciare, ma anche per memorie personali, come dirò più oltre. Filannino è proprio a Firenze, dov'era giunto ventitreenne da Reggio Calabria nel '47, che, in virtù dei contatti con gli esponenti dell'Astrattismo Classico, ha maturato la conversione dalla pittura realista d'impegno sociale al lessico d'impianto geometrico, giungendo a fondare nel 1964 assieme a Vinicio Berti, poi "nume tutelare" degli artisti dello Studio Il Moro, ad Avanzini, Nadia Benelli, Bruno Pecchioli e Liberia Pini il Gruppo Segno Rosso, incunabolo dello Studio d'Arte, dove a metà degli anni Sessanta fui invitato a tenere una conversazione.
Filannino nel suo discorso geometrico non approdò mai ad una depurazione dei suoi precedenti. Le superfici dei suoi dipinti, come pure le sue sculture, negli anni Settanta denunciavano nelle dinamiche conflittuali, talora iterate, il background espressionista della pittura realista da lui praticata e da cui provenivano. Anzi tale vitalismo, che certo qualcosa doveva all'esempio del temperamento grafico di Vinicio Berti, ma rivisto, sembrerebbe, sulla lezione del grafismo del pop Lichtenstein, s'insinuava all'interno delle strutture costruttive, che appunto nel loro seno si facevano spesso portatrici di grovigli di pennellate o di intrecci lineari positivi/negativi (Attrito, 1970; Irruzione A/C, 1971).
Nelle polimateriche sculture tali aspetti si traducevano in decorative ritmiche ottenute con imbullonature ai bordi (Struttura, 1972), o altrove (Per la memoria storica di una lotta di popolo, s.d.; Bucranio, Orfeo e Euridice, 1983) nelle striature delle superfici. Nelle opere degli anni Ottanta in Filannino riemergeva l'impegno civile che l'aveva portato durante l'occupazione nazista a fare il partigiano. E le radici iconiche del suo passato artistico contestualmente riaggallavano, ma con la consapevolezza dell'importanza della geometria che persisteva nell'ambito della costruzione di immagini organiche, com'è in Prometeo, metallo del 1983 dalle superfici movimentate da picchiettature, mentre nei lavori in gesso i sostrati dell'espressionismo d'un tempo tornavano, ma con soluzioni informi, certo giustificate dal tema (Hiroshima - e poi?, Nagasaki - e dopo?, 1983).