La scelta di Firenze art Gallery di presentare una ‘personale’ dell’artista ungherese David Lehel va in due direzioni, quella di proporre una pittura di non facile lettura - quindi un atto coraggioso, quantunque in perfetta sintonia con quella che deve essere la ‘mission’ di una galleria d’arte - e quella di offrire al proprio pubblico la possibilità di conoscere una personalità di spicco di un paese le cui correnti artistiche sembrano restie a muoversi all’esterno se non in occasione di eventi ‘istituzionali’ (artisti ungheresi sono una presenza costante alla Biennale a Venezia).
David Lehel nasce il 14 gennaio 1940 a Volóc, in Ungheria. Frequenta la scuola elementare a Derecske, poi la High School of Foresty and Agriculture a Sopron. Dopo il diploma di scuola superiore ha frequentato il biennio di allestimento vetrine e design, una formazione questa che con tutta probabilità ha avuto un ruolo determinante nella sua organizzazione pittorica, che, non a caso, consente immediata naturalezza nell’osservazione delle opere.
Artista dai molteplici interessi, Lehel nel corso della sua vita ha anche scritto poesie e prose. Nel 1989 il suo libro di poesie, intitolato: "Le apparizioni della preghiera" è stato pubblicato dall'editore Eötvös Co, altri due raccolte poetiche si trovano su riviste di letteratura, come 2000 o Kortárs, e nel 2012 viene pubblicato il suo secondo libro di poesie, intitolato: "Il vento soffia anche a mezzogiorno"; oltre alla poesia Lehel si occupa di realizzare piccole sculture di argilla, che in genere rappresentano scene e figure solitarie; quanto alla pittura, questa è sua compagna di viaggio fino dal 1982.
Come dice il titolo della mostra presso la FirenzeArt gallery -‘Forme e recinzioni’- il lavoro di Lehel è orientato a richiamare gli ostacoli, i divieti, le chiusure che noi umani incontriamo. Nei rapporti interpersonali, nella gestione della nostra esistenza, nell’incapacità di essere solidali con gli altri, e nel buio delle tante ingiustizie subite sotto varie forme da un buon numero di nostri simili. Un tema che l’artista affronta con modalità, come dicevamo, di non facile e non immediata comprensione, che vanno in profondità e che vengono proposte con una simbologia colta che, dal punto di vista pittorico, affonda le proprie radici in molti dei totem del secolo scorso, da Picasso, a Mondrian, da Klee a Kandinsky.
La sua modalità espressiva propone un linguaggio personale che racconta di stati d’animo, a volte melanconici, altre disincantati. Un diario della vita interiore di quanto rimasto allo stato embrionale, cioè non concretizzatosi, che Lehel sente l’esigenza ugualmente di rappresentare perché lo ha conosciuto, cercato, vissuto come impulso e che ora libera sulla tela. E’ pittura destinata a divenire familiare, in cui i segni appaiono la traduzione di un’ordinata spontaneità forse più raggiunta per imitazione e per il tramite di un linguaggio cui è affidato il controllo dell’urgenza emotiva; pittura geometrica, a volte neoplastica, formale, nella quale si riaffaccia - e viene faticosamente, ma con convinzione, rintuzzata - la figurazione.
Non c’è casualità in quello che vediamo nelle opere di Lehel, semmai una nostalgia, personale e universale. Le sue forme assumono, autonomamente e a dispetto del controllo che viene esercitato, un’antitesi con le esperienze razionali.
Pittura astratta certo, ma pittura concreta in cui l’apparente ‘non rappresentazione’ del visibile e del mondo della natura, da tesi diviene sintesi di un pensiero e di un sentire profondamente realista.
Lehel costruisce geometrie, labirinti, talora meccanismi complessi simili ai movimenti degli orologi di razza. L’equilibrio, anche delle opere meno geometriche, è nitido e la sua finalità, forse pur travalicando le intenzioni dello stesso artista, è volta al conseguimento di quel risultato che ogni pittore cerca: l’armonia dei rapporti tra linee, colori e superficie.
Dal punto di vista dell’esecuzione, la prima caratteristica che notiamo nella pittura di Lehel è l’ordine compositivo, che non necessariamente significa ordine formale, ma è organizzazione controllata dei piani, delle geometrie e della coloristica; quest’ultima con un’attenzione alle connessioni e alla rappresentazione che le è affidata, come raramente è dato di vedere. Il colore gioca un ruolo centrale nell’arte di Lehel. Sembra giocarci con il colore, lo spalma con giudizio e in questa operazione riesce ad offrirci una partitura cromatica che, sorprendentemente, risulta armonica a dispetto delle evidenti dissonanze. Non ci sono nei lavori i colori d’impatto di tanta pittura - il movimento fauve per dirne uno, forse il più evidente - che vuole prepotentemente affermare l’opinione dell’esecutore sulle cose del mondo.
Dalla visione delle opere di Lehel si trae l’evidenza della sua originalità e profondità ma anche, forse, di una fragilità che si avverte nella connessioni tra i segni, e nella loro logica interiore, entrambe solide sulla tela, ma forse non altrettanto nella vita reale.
Lehel dal 1994 è membro dell'Associazione degli artisti creativi ungheresi dal 1994. Ha esposto molto, per lo più in Ungheria, ma anche in Belgio e in Svizzera; memorabile nel 1993 la sua presenza alla mostra culturale ‘Le avventure di Picasso’.